“Il figlio del Mercante” narra la storia di Alfredo studente di medicina di un college inglese. Alfredo annuncia tramite telegramma il ritorno a casa, in Italia, in occasione del suo compleanno. La sua famiglia, perciò, è in fermento. La mamma, Donna Concetta, prepara una festa per l’arrivo del figlio chiedendo l’aiuto della salumiera del paese, Memena. Ad animare la scena ci pensa Chechele, figlio scemotto della coppia e fratello d'Alfredo. In scena si alternano vari personaggi come Teresa che cerca di “sistemare” sua sorella Titina, non proprio avvenente, Cenzino amico balbuziente di Fortunato costretto a sorbirsi i sermoni sul figlio Alfredo, futuro medico del paese. La storia si accende improvvisamente quando Chechele, involontariamente, smaschera suo Fratello. Alfredo, in realtà, ha abbandonato da anni gli studi di medicina per intraprendere una carriera incerta di pittore emergente. E’ qui che comincia il dramma di Fortunato tradito ed umiliato. Come può raccontare alla “piazza” la drammatica novità? Si sente un “pulcinella tra la gente”. Fortunato è alla ricerca di consigli utili per risolvere il suo “dramma”: cacciare via suo figlio indegno o accettarne la scelta? Incontra perciò vari personaggi del suo paese: il professore onorevole Mustacchio, anzitutto; l’amico sacerdote Don Isidoro, poi. In cambio riceve consigli diversi e contrastanti che lo fanno precipitare in una vera e propria crisi esistenziale. Il dialogo con la sua coscienza (tradotto in un emozionante balletto) giunge risolutore. La coscienza gli dona la giusta dimensione dei legami affettivi. In questo momento decide di recuperare il legame con suo figlio Alfredo, comprendendo l’importanza delle scelte personali, delle vocazioni intime. Definendo conseguentemente l’inconsistenza delle aspettative spasmodiche dei genitori sui figli. Aspettative che spesso diventano pressioni che disorientano. La commedia ha un immancabile lieto fine, con la famiglia che si ricompone e con la consacrazione di Alfredo a pittore dell’anno. Con questa prima opera, allestita e realizzata per soli due giorni (nel dicembre 2000, e ripresa in marzo 2004 ottenendo una grande risposta di pubblico), abbiamo trattato un tema tanto caro a questa nostra generazione. Raccontiamo i rapporti tra figli geni, tutto fare, e genitori sempre più ossessivi ed insoddisfatti. In quest’opera i dialoghi in vernacolo centrano il loro obiettivo primario raccontando una realtà popolare, rispolverando espressioni “d’altri tempi”. Tuttavia conosciamo bene come il nostro vero scopo non sia quello di produrre spettacoli teatrali, ma di servirci della penna e del palcoscenico per affermare e divulgare principi condivisi.
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