In occasione della Giornata per la Vita 2009 l’associazione socio-culturale “LUCE&SALE” rinnova l’invito rivolto a tutta la nostra comunità alla riflessione sui temi riguardanti il valore e la dignità della vita umana.
“La forza della vita nella sofferenza” è il tema proposto quest'anno in cui il dibattito culturale nel nostro Paese si è imperniato soprattutto sulla presunta necessità di interventi legislativi che aprano la strada all’interruzione legalizzata della vita, mediante anche la sospensione dell’idratazione e del nutrimento, e a forme più o meno esplicite di eutanasia per rispondere a stati permanenti di sofferenza.
Concordiamo con chi afferma che bisogna spostare la discussione da un piano esclusivamente ideologico-religioso a un contesto un po’ più “laico”. Se così non fosse, la discussione si trasformerebbe nuovamente, come lo è stato per argomenti affini nel passato, in una sorta di referendum pro o contro la Chiesa e la sua morale, pro o contro il Papa, pro o contro i cattolici che si lasciano plagiare dai dictat delle alte gerarchie, lasciando in secondo piano il merito della questione. È chiaro che la contrarietà alla “dolce morte” non può essere argomentata dicendo (o dicendo soltanto) che la vita è sacra, è un dono di Dio e dunque l’uomo non ha il diritto a troncarla neanche in caso di grande sofferenza: è ovvio che chi in Dio non crede, subirà questo divieto come un’assurda prevaricazione del proprio diritto all’autodeterminazione. Il punto è che in gioco non vi è solo il diritto di ciascun individuo a poter decidere se morire e quando morire. Il problema è che non può farlo in maniera autonoma: per poter mettere fine alla propria esistenza, un malato che chiede di morire deve obbligare un altro uomo ad alienare il proprio diritto-dovere a non sopprimere la vita di un’altra persona. E quand’anche ci fosse qualcuno (medico o familiare) disponibile volontariamente a privarsi di tale diritto-dovere, cosa ne sarebbe di una società che si permette il lusso di trovare delle motivazioni per le quali è opportuno acconsentire alla soppressione di una vita umana? Una volta superato questo limite, come faremo a dire no al prossimo guerrafondaio di turno che varrà a propinarci un’altra guerra preventiva, come faremo a dire no al prossimo forcaiolo che verrà a proporci la reintroduzione della pena di morte magari “solo” per i crimini più efferati? Sicuramente ci opporremo lo stesso, ma avremo dalla nostra una motivazione in meno: la vita umana è inviolabile e indisponibile e NON PUO’ ESSERE SOPPRESSA PER ALCUN MOTIVO.
In giro per l’Europa esempi di società che questo limite lo hanno superato ce ne sono. Da molti sono indicate come società progredite e “più civili”. Può darsi, ma nella tanto decantata Olanda hanno impiegato circa sei anni dalla legalizzazione della eutanasia ad introdurre una norma che consente di praticarla anche per i bambini sotto i 12 anni, compresi quelli in età neonatale, per i quali non si può certo parlare di valido consenso!
Come spesso accade in questioni relative ai diritti e alle libertà personali, anche nel caso del reclamato diritto di morire siamo in presenza – come detto prima – di un “conflitto di interessi” che va risolto tenendo conto di tutte le istanze e di tutti i soggetti coinvolti: il malato, i suoi familiari, i medici, la collettività e secondo noi l’eutanasia non ne rappresenta la soluzione. L’eutanasia nasconde dietro l’"esercizio di autonomia e di libertà" il fallimento di una società che non sa preoccuparsi di chi è più debole e indifeso e che sceglie di seguire la strada più breve per non impegnarsi umanamente e clinicamente con il malato.