Tra conferme e scoperte, tra bagliori di un entusiasmo nuovo, con quel pizzico di sana follia, tra sprazzi di una quasi professionalità ... vi racconto il mio stupore.
Io non ci credevo!
Non avrei saputo investire risorse e speranze in un progetto così importante, diciamo "elevato".
Perchè?
Perché il Teatro (quello vero) è sempre difficile da proporre, perché temi che il pubblico possa non gradire, perché certi testi e certi autori vanno compresi sino in fondo prima di poter essere proposti, perché la nostra storia (quella di L&S) parla di un teatro più "disimpegnato", più leggero, meno "elevato" appunto.
Poi, un giorno, un giovane socio L&S con la sua mano alzata ci dice: "Perchè non proponiamo L'importanza di chiamarsi Ernest, testo del tardo 800 inglese a firma di tal Oscar Wilde?".
Mah?! Come si fa?
Intanto l'assemblea approva e nelle mani di quel giovane finiscono le aspettative di una intera associazione con i suoi 10 anni di attività, con i suoi oltre 60 soci. Parte l'avventura dell'Ernest nostrano. Testa bassa, poche risorse, tanta voglia di fare, qualche titubanza. Si forma il gruppo e si inizia a provare. Sette mesi di prove.
Mentre il nostro Ernest prepara la sua squadra di supporto: tessuti di qualità, maestria sartoriale, scenografia accademica (Belle Arti di Lecce), arredi di scena, disegno luci del nostro Domenico Lasigna (ormai non più "mio cugino" ma "nostro fratello"). Si scoprono nuove sinergie, nuove adesioni.
È qui che entra, nella famiglia Luce&Sale, Mr. Algernoon - al secolo Antonello Delia - presenza scenica incommensurabile. Un concentrato di umiltà, di simpatia, di istinto recitativo. Sublime.
Ore 21:09 del 20 aprile 2012.
La sala è piena, dal retropalco arriva il segnale: "Qui sono pronti. Iniziamo!".
Fulvio (Mandorino) pigia il play del lettore. Partono le note di un sogno nuovo, di un'altra sfida ardua, di un desiderio covato da troppo tempo e finalmente realizzato.
Siamo in scena.
Il tempo vola.
Un caleidoscopio di colori e di emozioni. Sul finale...una macchina d'epoca (realizzata da Jacopo Dipierro) scatta la fotografia di una compagnia di folli sognatori. Ho ripercorso in un attimo quei 10 anni. Dal salone parrocchiale al teatro comunale.
Dal camice di Chechele ai costumi ottocenteschi. Dalla carta pacchi attaccata alle finestre, per fare buio nelle luminose sere d'estate, al rosso porpora delle tende da teatro. Quei dieci anni di impegno, di speranze, di progetti, di tanti successi e di qualche fallimento erano lì, riassunti su quel palco, sotto quelle luci, innanzi a tanta gente. Ho faticato a trattenere le lacrime. Guardavo finalmente quella "fusione generazionale" che avrebbe significato (e che da oggi significa) altri 10 anni di impegno, di speranze, di successi (e forse ancora di qualche sano fallimento).
Allora il mio personalissimo grazie va a quel "giovane socio". ...A te Gianvito (Motola), al tuo piglio, al tuo coraggio, alla tua volontà a volte incerta ma determinata verso l'obiettivo, alla tua caparbietà mai irragionevole, a quei tuoi valori sani, a quell'eleganza, a quello scalpitio irrefrenabile di una passione autentica.
Nei tuoi occhi il bagliore della sana follia, quella che sa trovare una risposta ad ogni interrogativo, una soluzione ad ogni problema. Va' avanti, noi ti seguiremo! Poi un grazie a chi c'è sempre. Grazie alla forza vera di questo sogno: Rocco (Motola), Giusy, Vita, Rocco (Forleo), Michela, Valentina, Cinzia, Michele, Annamaria, Carmela, Lizia, Giuliana, Antonio.
Grazie a chi c'ha creduto da subito e a chi c'ha creduto un po' più tardi. Grazie pure a chi non ci crede ancora...continueremo a spiegarvi che per noi è sempre un gioco, ma in questo gioco, da anni, ci mettiamo testa e cuore con la speranza di sentirci dire un giorno "adesso ci credo anch'io!".
Grazie.
Domiziano.
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